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al testo di Dereck Louvrilanm
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Perché scrivo di te, chiuso nel mio guscio in similpelle? In un perimetro murato, detto per casa, l’anima è stabile, seduta stante. Una finestra fa risiedere il mondo qui dentro. Sullo schermo una piroga àncora tra palafitte curve: ma come cazzo si ergono dall’acqua? È Makoko. MA-KO-KO, nemmeno so dove va l’accento, se su pene o su malarie. Incerta e ignorata, come il numero angelico dei canali televisivi documentati a più riprese. Ne so poco, anzi: meno di te. Soprattutto qui, i pali in sesto sono retti, dai ritti marci, e forniscono l’habitat ai molluschi - questi che vivono a frotte, presi alla gola, come morti alle volte. Come sgombri richiesti all’acqua perchè la terra non basta. Le conchiglie non risiedono per scherno tra le suppellettili del deserto che fuggono, impietrite sul tronco cavilloso delle dune. Finanche la carne si scaglia ai pesci e affonda nella lacuna la corrente e la spina. Lacuna, o laguna. Umana, o naturale. Affare, o sciagura. «Qui si trova di tutto. Tranne una sepoltura.» L’acqua è una tomba paradossale che tiene in vita i galleggianti. Una pesca miracolosa della malora. Ho letto di sardine spinate di fresco e andate in fumo, dal loro punto di vista salubre. All’ora dei coloni il gin tonic nasceva qui ma qui non si porta l’aperitivo. Quindi è necessario che scriva, perché si veda nel lacero-contuso blu la miriade di rifiuti buttati ai pesci.
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